Abusi psicologici: cos’è il “gaslighting”

a cura della dott.ssa Elena Ercolani – Psicologa –

Esistono varie forme di violenza ma nella maggior parte dei casi i segni e le ferite risultano visibili ed evidenti. Ci sono casi in cui, invece, violenza è più subdola e sottile, difficilmente riconoscibile, e tende a minare aspetti più profondi della psiche delle vittime.

Il “gaslighting” è inquadrabile in questo tipo di violenza. Si tratta di un comportamento altamente manipolatorio messo in atto da una persona abusante per fare sì che la sua vittima arrivi a dubitare di se stessa, della propria sanità mentale e del proprio esame di realtà, arrivando a mettere in discussione le proprie percezioni e valutazioni, a sentirsi dipendente e confusa, fino a convincersi di essere o di stare per diventare pazza.

Il gaslighting è quindi un abuso psicologico di cui la vittima difficilmente si rende conto è in cui lo scopo del gaslighter è quello di privare la vittima dell’autonomia, dell’autostima e della capacità di prendere decisioni, riducendola ad una condizione di dipendenza sia fisica che psicologica, esercitando e mantenendo su di essa controllo e potere.

Questo comportamento è molto frequente nei casi di relazioni di coppia di dipendenza affettiva, e attraversa un processo di manipolazione:

  • Una prima fase è caratterizzata dalla distorsione della comunicazione: il gaslighter inizia ad utilizzare la relazione per creare confusione nella vittima e iniziare a manipolarla;
  • Nella seconda fase, anche detta dell’incredulità, la vittima non crede a quello che accade, né a ciò che vorrebbe farle credere il suo “carnefice”: è totalmente confusa e non riesce ancora a mettere a fuoco quello che le sta accadendo. Può iniziare ad allontanarsi da amici e colleghi perché confusa sulle loro intenzioni;
  • Nella terza fase, quella della difesa: la vittima inizia a difendersi con rabbia vuole fare chiarezza e si attacca disperatamente alla realtà cercando di convincere il gaslighter che ciò che lui dice non è vero.
  • L’ultima fase è quella della depressione e rappresenta lo stadio della resa: la vittima ha raggiunto la convinzione di essere “sbagliata” e accetta passivamente la realtà che le viene comunicata dal suo torturatore come l’unica vera e possibile, sprofondando in balia di vissuti di insicurezza, autosvalutazione e dipendenza. È in questa fase che interviene la cronicizzazione: la vittima si convince della ragione del suo carnefice, e ne diventa così dipendente da isolarsi del tutto anche a livello sociale.

Esistono tre tipologie di gaslighter:

1. il bravo ragazzo che sembra sempre attento ai bisogni della vittima e appare un “controllore” premuroso del suo benessere fino a convincerla che solo lui ha ragione e solo lui conosce veramente ciò di cui lei ha bisogno;

2. l’adulatore che utilizza tutte le sue doti seduttive per influenzare e, infine, imporre il proprio ascendente sulla vittima. Si tratta di una seduzione patologica, usata come strumento manipolativo, per indurre la vittima alla vicinanza emotiva e alla totale fiducia.

3. l’intimidatore che utilizza il rimprovero continuo, il sarcasmo, l’aggressività diretta attaccando la vittima con continue critiche e svalutazioni.

Dal punto di vista giuridico il gaslighting va considerato una forma di abuso psicologico in quanto il tipo di comportamento messo in atto è un sistematico abuso alla salute mentale della vittima, negando fatti, eventi e cose dette al punto da mettere in serio pericolo il benessere emotivo e psicologico di quest’ultima. Proprio per quanto detto finora è difficile che chi è vittima del gaslighter si renda conto della situazione perversa in cui vive e chieda aiuto.

È importante rompere l’isolamento della vittima ed interrompere le dinamiche violente. È allora che può e deve iniziare il percorso di ricostruzione dell’ identità, della fiducia e del senso di sé che porta la vittima a liberarsi da una relazione perversa e dolorosa.

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