A cura della dott.ssa Alessia Bandettini – Psicologa –
Sempre più spesso oggi si sente parlare di mindfulness: in ambito medico, psicologico, aziendale, sportivo… Ma sappiamo davvero che cos’è?
Con il termine “mindfulness” facciamo riferimento all’essere consapevoli e completamente calati nel momento presente, nel qui e ora. Nella società multitasking in cui siamo immersi, facciamo molta fatica a vivere il presente: siamo spesso presi dalle mille attività che dobbiamo svolgere, dai compiti da portare a termine, dalle preoccupazioni per il futuro e dalle rimuginazioni sul passato. Per il qui e ora c’è poco spazio. Alla lunga, però, tutto questo è difficilmente sostenibile senza un costo da pagare. Purtroppo, questo costo spesso è rappresentato da un aumento dei livelli di ansia e di stress, che si possono tradurre anche in un calo della motivazione e dell’autostima. Praticare la mindfulness, invece, ci permette di abbandonare molti dei comportamenti automatici che mettiamo in atto quotidianamente senza rendercene conto e che possono essere nocivi, sostituendoli con scelte più funzionali e consapevoli (per esempio, interrompere l’abitudine di pranzare velocemente leggendo le e-mail di lavoro e iniziare a farlo con la consapevolezza di quello che abbiamo nel piatto, lasciando da parte cellulare o computer); abbandonare i nostri giudizi, anche e soprattutto verso noi stessi, iniziando a praticare una forma di gentilezza amorevole. Tutto questo ci porta a vivere un’esperienza di vita più ricca, piena e completa.
Erroneamente, a volte la mindfulness viene considerata una tecnica di rilassamento, come il training autogeno. In realtà non è così: sebbene sicuramente l’escludere dalla nostra mente i pensieri stressanti e intrusivi per concentrarsi solo sul presente porti facilmente a una situazione di maggiore rilassamento, lo scopo della mindfulness è la consapevolezza del qui e ora.
La mindfulness può essere praticata secondo due modalità: la prima fa riferimento alla cosiddetta pratica formale, che consiste in una serie di tecniche meditative che richiedono di ritagliarsi del tempo per fermarsi e prestare attenzione ad aspetti come il respiro, suoni esterni, i propri pensieri, le proprie emozioni, le proprie sensazioni…
Una seconda modalità è quella della pratica informale, che può essere praticata in qualunque momento della giornata: consiste nel prestare una nuova attenzione a tutte quelle attività che generalmente svolgiamo inserendo il “pilota automatico”. Possiamo dunque vedere con occhi nuovi attività che normalmente eseguiamo senza pensare e tornare a goderne appieno, come una passeggiata, un pasto, una doccia calda…
Sebbene affondi le sue radici nel mondo orientale, e in particolare nelle pratiche meditative buddiste, in tempi più recenti è entrata a far parte anche della cultura occidentale. Negli anni ‘80, dopo un’esperienza di meditazione con un missionario Zen, Jon Kabat-Zin, biologo statunitense e professore alla facoltà di medicina dell’Università del Massachussetts, si rese conto del ruolo che la mindfulness poteva avere nel trattamento di ansia, stress e dolori cronici ed elaborò un programma chiamato Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR), che rimane ad oggi uno dei più validati dal punto di vista scientifico.
In ambito psicologico e psicoterapeutico, l’impiego della mindfulness segue diverse vie, che spaziano dall’applicazione di determinati protocolli o training (molto utili soprattutto in determinate condizioni psicopatologiche) all’utilizzo di qualche tecnica in seduta, fino alla promozione di una maggiore consapevolezza in maniera non strutturata da parte dello psicologo o dello psicoterapeuta